Ognuno di noi ha un luogo in cui ritrova la sua pace interiore, un posto in cui si sente al sicuro, dove i pensieri si distendono, mutano e piano piano si dissolvono come la nebbia. Ho macinato tanti chilometri su asfalto decisamente noiosi e lontani dal mio modo di viaggiare e, nonostante talvolta l’umore si è fatto grigio proprio come il terreno sotto i miei piedi, prima che lo sconforto prendesse il sopravvento, la natura è sempre venuta in mio soccorso riproiettandomi nella mia dimensione fatta di silenzio, pace e solitudine.
Lunedì - 12 aprile - inizio a camminare lungo una infinita strada di campagna che si trova immersa tra distese di piante da vivaio e alberi abbattuti e tagliati per la legna. Ho caldo, cammino lungo questo itinerario lentamente, come se non avessi energie e con la sensazione di esser fuori posto, come se non appartenessi a certi scenari in cui la mano dell’uomo prende il sopravvento sull’ambiente circostante mutando completamente la sua natura. Finalmente verso l’ora di pranzo inizio a camminare all’interno di stupende faggete alternate a graziose peccete, una divertente alternanza di colori e fondi differenti sui quali è molto divertente camminare. Ritrovo i miei spazi, ritrovo me stesso e con essi le energie si moltiplicano. Ora sono pronto per affrontare gli ultimi 5 km della tappa odierna - tutta su asfalto - fino a raggiungere Monte Covello, l’ultima montagna delle Serre Calabresi. Trovo riparo in un’area attrezzata, piazzo la tenda e mi concedo una fantastica doccia gelida con l’acqua della fontana. Pulito e profumato inizio a spadellare preparandomi un delizioso cous cous con zucchine, cipolla e della Nduja per dargli quel tocco calabro che non guasta mai.
Martedì - 13 aprile - tappa di trasferimento tra le Serre Calabresi e la Sila. Il CAI mi avvisa che questa tratta è in gran parte interrotta e infestata dai rovi e che quindi avrei dovuto fare un giro decisamente più lungo per raggiungere Tiriolo. Consulto le mappe e, nonostante l’avviso contrario del CAI, il ravanatore seriale che c’è in me prende il sopravvento e a muso duro decido di non fare nessuna deviazione. Parto così per la lunga discesa che dal Monte Covello (m. 848) mi conduce al punto più basso del l’istmo di Catanzaro, la Sella di Marcellinara (m. 250). L’istmo di Catanzaro detto anche di Marcellinara, è un lembo di terra - il più stretto d'Italia - che separa il Mar Tirreno dal Mar Ionio. L'istmo è largo circa 35 chilometri e si trova in corrispondenza della depressione tra le estreme pendici meridionali della Sila e la parte settentrionale delle Serre Calabresi. Raggiunta la Sella di Marcellinara mi ritrovo, come previsto, a ravanare tra enormi rovi e vegetazione varia che spunta da ogni dove. Avanzo destreggiandomi come se per me questo gioco tra rami e spine fosse del tutto naturale e, nonostante la pioggia, continuo la mia danza riuscendo a superare senza troppi graffi questo tratto. Finalmente raggiungo Tiriolo dal quale godo di una stupenda vista sui due mari e riparto verso il suo monte, il Monte Tiriolo. Il paesaggio inizia a mutare, da terreni metamorfici con prevalenza di granito delle Serre Calabresi si passa a terreni calcarei che contraddistinguono la Sila. Adoro il calcare, mi ricordano le mi amate grigne, e tra lame affilate e ciuffi d’erba cammino lunga una stupenda cresta che in discesa dalla cima del Monte Tiriolo mi conduce verso San Pietro Apostolo. Lungo l’ultimo tratto mi vengono incontro i ragazzi della ASD Moving Emotion che mi accompagnano fino in paese. Fieri delle loro origini mi portano a visitare San Pietro Apostolo e successivamente allo stupendo museo della Cultura Contadina all’interno del quale apprendo con stupore come la ginestra fosse utilizzata per la tessitura da cui poi venivano realizzati sacchi, tappeti o vestiario. Un altro elemento molto sfruttato era il castagno, detto anche l’albero del pane, perchè in periodo di carestia è stato spesso una grande fonte di sostentamento. Questa sera sarò ospite presso la sede della ASD Moving Emotion dove ad attendermi ci sono anche alcuni rappresentanti del CAI della Calabria. Ceniamo insieme e dopo varie chiacchiere e del buon vino vado a riposare.
Mercoledì - 14 aprile - parto in direzione della Sila camminando all’interno di enormi boschi di castagni da coltura con evidenti segni e tagli che sembrano delle mutilazioni. Le castagne calabresi hanno una tradizione antichissima, ci sono esemplari che raggiungono i 400 anni, tradizione che negli ultimi anni ha subito dei duri colpi decretando quasi la fine di questa pianta. A causa della forte emigrazione, infatti, i territori sono stati abbandonati e i castagni lasciati a loro stessi e, successivamente, messi ancora più a dura prova dalla malattia del cancro corticale che ne ha quasi decretato l’estinzione da quest’area. Per cercare di contrastare l’avanzamento della malattia, le piante presentano questi enormi tagli a tratti davvero tremendi e radicali che fanno sembrare questi boschi dei campi da guerra. La malattia si sta piano piano debellando ed ora, grazie anche all’emigrazione di ritorno, la castagna ha ritrovato di nuovo il suo spazio acquisendo anche il simbolo della rinascita della montagna calabrese. Ridiscendo verso il Santuario della Madonna di Porto e mi immergo sui monti che piano piano mi portano verso l’altopiano della Sila. Il sentiero prende quota lentamente e dagli enormi boschi castagni da coltura mi ritrovo all’improvviso, attorno ai 1000 - 1100 metri, all’interno di bellissime pinete. Dopo vari chilometri su asfalto e strade sterrate raggiungo Villaggio Mancuso dal quale mi avventuro finalmente all’interno del Parco della Sila. La giornata è grigia, le nuvole sono basse e la nebbia avvolge tutto quello che ho attorno. Mi ritrovo così a camminare in una stupenda pineta, nella completa solitudine, con la nebbia che gioca tra gli alberi creando scenari davvero suggestivi. Mi sento bene, sento di essere al mio posto. Per due ore cammino sospeso come la nebbia tra gli alberi, mi perdo tra di essi senza timore, lascio che l’istinto mi guidi e cammino nella più totale serenità . Raggiungo così senza accorgermene la casettina della forestale, per oggi la tappa è finita, piazzo la tenda e da domani si entra nel cuore della Sila.
Giovedì - 15 aprile - apro la tenda, la nebbia avvolge ancora il bosco attorno a me, respiro a pieni polmoni quest’aria fredda ma intensa, quell’aria spessa che ad ogni respiro ti fa sentire vivo. Non avrei mai immaginato di vedere delle pinete di queste dimensioni in Calabria, l’avevo sempre immaginato come un posto un po’ arido ed invece, come spesso accade, la natura ci sorprende donandoci nuove sfaccettature di sé. Mi incammino addentrandomi sempre più nel cuore del Parco della Sila, che si sta rivelando davvero suggestivo. Cammino nella parte più selvaggia del parco, dove ho trascorso un giorno intero senza veder abitazioni o tracce d’uomo. Una giornata a stretto contatto con la natura passando da pascoli verdissimi a valli enormi ed ampie, a boschi di faggio e pinete spettacolari, la mia dimensione! Mentre stavo per raggiungere Roseto Capo Spulico, paesino di 1900 anime circa che deve il suo nome al latino rosetum vista la diffusione della coltura delle rose in epoca greco-romana, vengo contattato da Giuseppe Bica, ragazzo conosciuto a Trapani che poco dopo il mio passaggio in Sicilia era partito per il suo giro dello stivale in bicicletta. Il caso ha voluto che fosse a pochi chilometri da dove mi trovavo io. Avevo tenuto il telefono spento tutto il giorno e, casualmente, mentre l’ho riacceso Giuseppe mi ha chiamato. Scopro così che si trova a Lorica, paese in cui avrei dovuto passare l’indomani, ma controllo le mappe e decido di allungare la tappa e aggiungere altri venti chilometri per incontrarlo. Arrivo così a Lago Arvo a Lorica, un posto incantevole dove ad aspettarmi trovo Beppe (Giuseppe n.d.r.). E’ stato proprio un piacevole incontro e dopo una bella cena assieme vado a dormire in un uno stupendo appartamentino messo a disposizione dal CAI locale. Ho decisamente bisogno di una doccia e di riposare: oggi la mia tappa è stata di ben 60 km!
Venerdì - 16 aprile - mi sveglio con calma, non ho fretta. Ieri ho percorso buona parte anche della tappa di oggi che ora è relativamente breve: dovrò fare solo 20 - 25 km per arrivare a Camigliatello Silano. Fuori nevica - che strano eh! - sembra quasi che una nuvoletta fantozziana mi insegui. Esco dalla mia stanza e raggiungo Edoardo e Noemi, la coppia presso la quale ero ospite grazie al CAI Locale. Mi intrattengo con loro iniziando a chiacchierare sulla montagna, sui percorsi su…e discorsi dopo discorsi mi ritrovo con le gambe sotto al loro tavolo anche per pranzo. Mi cucinano una fantastica pasta con funghi al sugo rosso e successivamente mi fanno assaggiare dei formaggi locali, salsiccia e la mitica soppressata, il tutto innaffiato da dell’ottimo vinello, decisamente un pranzo da Re! Nonostante la voglia di rimanere sia molta riesco a ripartire per la tappa odierna e carico di calorie inizio la salita con una spolverata di neve verso il Monte Botte Donato. Il paesaggio è davvero invernale, nonostante salga sul lato meridionale dai 1600 metri trovo davvero molta neve caduta nei mesi precedenti. Per fortuna le temperature rigide hanno reso il manto compatto e riesco avanzare senza troppi problemi. Raggiungo la vetta del Monte Botte (m. 1900) e inizio discesa sul versante settentrionale con quasi due metri di neve dura sotto i miei piedi, chi l’avrebbe mai detto di trovar tutto questo oro bianco ad aprile in Calabria ?! Scendo velocemente passando tra una faggeta e l’altra verso Camigliatello dove ad aspettarmi trovo Roberto, Presidente del CAI di Cosenza, il quale ha deciso di ospitarmi per la notte presso la sua casetta di Montagna all’interno della Sila. Mi ritrovo così in questa stupenda casa con Roberto e sua figlia e dopo quattro chiacchiere e due bicchieri di vino mi lasciano solo con la bottiglia da finire, dei funghi da spadellare con le patate e delle fette di torta. Vino e cibo non saranno avanzati, oggi è stata un giornata da Re, servito e riverito!
Sabato - 17 aprile - lascio la casetta di Roberto e inizio la prima delle due giornate di grande asfalto per raggiungere la Catena Costiera dalla Sila. Per proseguire il mio viaggio lungo gli Appennini è necessario passare dalla Vallata dei Crati, detta dei Crati dal nome del fiume che l'attraversa, area stretta e pianeggiante della Calabria settentrionale fortemente antropizzata che si estende longitudinalmente per circa 35 km in linea d'aria da Cosenza sino al territorio comunale di Tarsia. In questa tratta non esiste un sentiero, infatti il CAI prevede, per chi voglia percorrere il Sentiero Italia, di utilizzare il trenino a scartamento ridotto per raggiungere Cosenza. Non ho voglia di utilizzare dei mezzi di trasporto per il mio viaggio e così decido di percorrere questa tratta su asfalto. Raggiungo la sede del CAI di Cosenza nel primo pomeriggio dove ad aspettarmi ri-trovo Roberto, sua figlia e il suo ragazzo. Visto il tempo a disposizione mi portano a fare un tour della città facendomi visitare gli angoli più nascosti di Cosenza. La fortuna vuole che sia domenica e quindi ho la possibilità di visitare il Duomo e la chiesa di S. Francesco D’Assisi visto che sono aperte in questa giornata. Rientriamo alla sede per fare un aperitivo tutti assieme e dopo una bella cena a casa di Roberto ritorno alla Sede CAI per riposare.
Domenica - 18 aprile - lascio la sede del CAI e inizio a camminare lungo la strada statale 19 che da Cosenza arriva fino a Capolago. Sono 15 chilometri interminabili lungo un biscione nero durante il quale ogni tanto mi sono un anche po’ maledetto. Arrivo finalmente a Capolago e non completamente lucido per via di tutto quel monossido di carbonio decido di acquistare una enorme porzione da 4 persone di gnocchi e altrettanta confezione di passata di pomodoro. Non si rivela una scelta azzeccata, mi mancano ancora tanti chilometri da percorrere e ora mi ritrovo un chilo in più nello zaino da trascinarmi per tutto il giorno. Lascio Capolago e proseguo su una strada secondaria dove il traffico è decisamente ridotto e continuo nella mia marcia. L’umore è nero come l’asfalto, ma appena prima di arrivare a Potame mi ritrovo a percorre 5km su una piacevole strada sterrata. Il cielo è grigio, ma ogni tanto si apre e permette al sole di scaldare la terra bagnata che intrinsa dagli aghi di pino, dalla resina e dai rimasugli della segatura della legna appena tagliata fa salire dal terreno un intenso profumo balsamico riproiettando la mia mente nelle fantastiche pinete della Sila. Respiro a pieni polmoni e il disagio di tutti quei chilometri passati a bordo strada scompaiono, la magia della natura ha fatto il suo corso. Arrivo a Potame, faccio scorta di acqua, altri 2kg nello zaino, e inizio a salire verso il Monte Cucuzzolo dove alla casetta della forestale ci sono Luigi e Giuliano del CAI di Cosenza ad aspettarmi. Luigi è un ottimo viticoltore e mi ha portato del suo vino da assaggiare. Dopo vari bicchieri e del formaggio mi sento decisamente pronto a cucinare i famigerati gnocchi con il sugo che mi sono portato appresso tutto il giorno!
Settimana prossima spero di poter avere del tempo mite lungo la Catena Costiera. Non vedo l’ora di visitare il Parco del Orsomarso e del Pollino. Giovedì dovrei uscire dalla Calabria ed entrare in Basilicata.
A lunedì prossimo e non abbiate paura, la natura trova sempre il modo per risolvere qualsiasi situazione!